Fatta
la legge, trovato l’inganno, ma non sempre le ciambelle riescono col buco: i
lavori per cominciare la sistemazione del Teatro Michetti non partiranno a
breve. Non prima, sicuramente, di aver visto espletare due gare d’appalto: la
seconda per individuare la ditta che effettuerà la ristrutturazione dell’immobile;
la prima per individuare il professionista esterno cui affidare la progettazione
esecutiva-definitiva, la Direzione lavori e la responsabilità della sicurezza
in fase di esecuzione dei lavori. Affidamento che, considerati gli importi, non
può seguire la strada della ‘chiamata diretta’ per volontà divina o terrena, ma
deve per forza di cosa procedere attraverso gare ufficiali, avvisi pubblici e
atti trasparenti. Questo non lo dice Patricia Fogaraccio, non lo dice il mio
Blog, ma lo dice il Codice degli Appalti pubblici, che forse la giunta
Alessandrini farebbe bene ad andarsi a rileggere. Ecco, oggi approfondiremo
questo aspetto, che avrei lasciato come ‘ultima puntata’ della serie aperta
ieri. Ma le decine di telefonate con cui mi hanno bersagliato da ieri
professionisti e cittadini, chiedendomi di chiarire tale aspetto scritto bello,
nero su bianco, e riportato da leggi e codici, mi impongono di piegarmi alla
volontà dei lettori. Vi risparmio i richiami di legge, quello lo faceva l’attuale
vicesindaco del Comune di Pescara, scatenando una noia mortale. I fatti: un
brevissimo riepilogo sulla conferenza stampa con cui ieri, in pompa magna, la
giunta del sindaco Alessandrini (quest’ultimo molto più dimesso dei ‘suoi’) ha
annunciato che la Regione Abruzzo ha elargito molto generosamente 1milione
600mila euro circa di contributi su Pescara per finanziare la ristrutturazione
del Teatro Michetti, del Museo del Mare e della Città della Musica. La fetta
(si fa per dire) più grande di quella somma è destinata al Teatro Michetti,
973mila 603 euro, quasi 1milione di euro, che però serviranno giusto per
evitare che la struttura crolli, ovvero per finanziare i lavori tesi a
restituire agibilità e garanzie antisismiche al fabbricato. Poi restano da
rifare gli impianti, gli allestimenti, insomma almeno ancora 1milione e mezzo
di euro di lavori, cui dovrà pensare la Provvidenza perché il sindaco
Alessandrini, da parte sua, non sa davvero dove mettere le mani. Ma non basta:
nel pieno della conferenza stampa, il vicesindaco, tutto gongolante, ha
annunciato che ora ‘si procederà con il dare incarichi ai professionisti esterni
che dovranno redigere i progetti esecutivi e definitivi da restituire entro un
mese. E avviso i giornalisti, non c’è alcuno scandalo nel dare gli incarichi
esterni’. Una frase che ha lasciato sbigottita me, ma ha fatto letteralmente
saltare dalla sedia gli ‘altri’ professionisti, quelli che hanno letto su
giornali e media on line quelle parole perché un tale ‘affidamento diretto’ non
è possibile. Per capirlo basta farsi quattro conti: su un intervento pubblico
di 973mila 637 euro, la progettazione esecutiva-definitiva, direzione lavori e
responsabilità sicurezza in fase di esecuzione, assorbe circa il 10 per cento
dell’importo stesso. Ovvero: il professionista che verrà scelto percepirà un
compenso di almeno 80-90mila euro complessivi, somma stabilita non dalla
generosità o dall’aria, ma dalle tariffe tabellari cui un Ente pubblico, come
il Comune di Pescara, non può derogare, neanche in tempi di crisi e di
pre-dissesto, e deve obbligatoriamente osservare. Bene: peccato che, sempre il
Codice degli appalti, impone che per incarichi professionali di tal genere,
ossia inerenti le opere pubbliche, che prevedono compensi superiori ai 40mila
euro, non si può procedere con la chiamata diretta di un professionista, ma
occorre fare una gara tra almeno 5 professionisti, cui concedere almeno 15-20
giorni di tempo per acquisire e prendere visione delle carte, studiare il
progetto da realizzare, e presentare la propria offerta corredata di ogni
dettaglio. Tradotto, il Comune non può decidere di affidare a pinco o pallino
tale incarico, o meglio può scegliersi il professionista tra una rosa di 5 nomi
da invitare a gara. E, rispettando tempi per gli inviti, le visioni, e le
risposte, e considerando che tali procedure non sono neanche partite, beh! Facile
dedurre che a maggio staremo ancora a parlare dell’aria fritta, mentre il
Teatro Michetti continuerà a essere abitato da ratti e tarme. Ma è la legge
bellezza, e non puoi evitare di rispettarla. A meno che…e già, a meno che, non si
decida di parcellizzare e spezzettare l’incarico stesso, al fine di far
scendere il compenso di 80mila euro minimo, ma a questo punto il giochetto
sarebbe scoperto! Suscita poi curiosità l’importo erogato per il primo lotto
della ristrutturazione del Teatro Michetti: 973mila 603 euro! Una precisione
millimetrica, mi verrebbe da chiedere con quei 3 euro finali cosa si andrà a
pagare! Magari una persona normale, in un Comune normale, con una Regione
normale, avrebbe arrotondato e assegnato direttamente 1milione di euro, non
973mila 603 euro, tanto poi tra i ribassi di gara la somma comunque scende…ma…e
già, c’è un ‘ma’. La differenza tra 1milione di euro e 973mila 603 euro è
sostanziale, non puramente formale: la legge, sempre quella pedante legge tra i
piedi, impone che per gli appalti da 1milione di euro in poi, approvati i
progetti esecutivo-definitivo, occorre fare una gara d’appalto pubblica, con l’avviso
in pubblicazione sugli Organi di stampa e sull’albo pretorio almeno per 30-35
giorni; alla gara può partecipare un numero infinito di ditte, ed è chiaro che
un appalto da 1milione di euro diventa allettante di questi tempi. Poi c’è la
seduta pubblica di aggiudicazione; se ci sono offerte anomale, ossia che
offrono un ribasso inferiore mi sembra al 27 per cento sul prezzo a base d’asta,
si rinvia per dare alle eventuali ditte il tempo e la possibilità di spiegare
le ragioni di quell’offerta anomala. Quindi si riconvoca la seconda seduta
pubblica, si procede con l’aggiudicazione provvisoria, che impone alla pubblica
amministrazione di aprire una fase di sospensione di 35 giorni per consentire
ad altre eventuali ditte escluse o perdenti di presentare ricorso al Tar contro
l’aggiudicazione. E solo una volta trascorsi quei 35 giorni, se non ci sono
stati ricorsi, si può procedere all’aggiudicazione definitiva, alla firma del
contratto e all’apertura del cantiere. Se arrivano i ricorsi, si blocca tutto
in attesa della decisione del Tar, che può dare o meno la sospensiva dell’appalto:
procedura burocratica farraginosa, ma necessaria per evitare quei contenziosi
che, in passato, hanno determinato l’apertura di cantieri rimasti poi a metà
per dieci anni. Bene. Tutto questo se l’importo fosse stato di 1milione di
euro. Aver assegnato una somma di 973mila 603 euro, ossia essere scesi sotto la
soglia di 1milione di euro, consente invece alla pubblica amministrazione di
saltare tutta la procedura, e procedere con la ‘procedura negoziata’: ossia gli
uffici chiameranno in maniera diretta 10 ditte chiedendo loro di presentare un’offerta
entro 10-15 giorni per quell’appalto. Poi si aprono le offerte e si va subito
in aggiudicazione per aprire il cantiere. E la differenza, come dicevo, è
sostanziale: anche la seconda procedura è consentita dalla norma, ma, se è
logica e opportuna per effettuare opere urgenti per la manutenzione, che so, di
strade o marciapiedi dopo un evento calamitoso, al fine di restituire loro
sicurezza e agibilità a tutela dei cittadini, diventa meno logica e sicuramente
meno opportuna, a mio giudizio, per opere di grande rilevanza. Innanzitutto con
la procedura negoziata non si garantisce democraticamente a tutte le imprese la
stessa possibilità di partecipare e di aggiudicarsi un appalto economicamente
importante, ma si privilegeranno solo 10 imprese scelte, poi, sulla base di
quale criterio? Secondo perché quando si svolgono opere pubbliche importanti,
come la ristrutturazione di un Teatro, è sempre meglio seguire la strada più
lunga, ma più trasparente e di massima evidenza pubblica. Come del resto ha
fatto la giunta Albore Mascia per aggiudicare i lavori di riqualificazione di
corso Vittorio Emanuele, o la riviera nord e sud. A questo punto vedremo quale
strada sceglierà la giunta Alessandrini, cercando di uscire dall’imbarazzante
palude di immobilismo in cui ha trascinato Pescara da 9 mesi. Buona giornata!
martedì 24 marzo 2015
lunedì 23 marzo 2015
2milioni e mezzo di euro per il Teatro Michetti, in politica ci vuole la faccia
Ci
vuole la faccia! Quando si raccontano bugie in politica ci vuole la faccia.
Occorre saper mantenere contegno, mostrare un’espressione convinta, non parlare
troppo in fretta e prepararsi a risposte generiche per domande specifiche, pregando
che l’attenzione cali e magari si faccia anche bella figura. Ecco, al sindaco
Alessandrini tutto questo proprio non riesce e allora arriva tardi alle
conferenze stampa, che fa aprire ai suoi assessori più volponi (pensano loro),
abbozza frasi evergreen (‘non ci sono più le mezze stagioni’, ‘per essere
lunedì è un buon lunedì’) e sperando, soprattutto, che finisca al più presto, perché
di sostenere sguardi indagatori di chi a giorni potrebbe scoprire le bugie
proprio non gliel’a fa. Questa è la scenetta che ci si è parata davanti oggi in
conferenza stampa. Oggetto: l’annuncio trionfalistico dei soldi erogati da
mamma-Regione Abruzzo per, in teoria, rifare Teatro Michetti, Museo del Mare e
Città della Musica, 1milione 600mila euro circa in tutto. Tradotto: dinanzi a
un sindaco di una città come Pescara, e alla sua giunta, che hanno paralizzato il
capoluogo adriatico da nove mesi, riuscendo solo ad alzare al massimo le tasse
e dare contributi ad associazioni, arriva papà-D’Alfonso ad agitare le acque,
sperando di regalare un sogno e di distogliere l’attenzione del territorio dall’immobilismo
della giunta. Prima osservazione: non c’è riuscito. Anche perché, gli affari
internazionali cui oggi è stato chiamato, l’incontro con l’ambasciatore
israeliano (voci dicono che si è proposto come mediatore per l’affaire
Palestina!), gli hanno impedito di rubare la scena portando luce in una
conferenza stampa mesta e spenta. E’ arrivato, ma troppo tardi. Ma la
conferenza stampa odierna merita più di un’osservazione, e, ho deciso, gli
dedicherò almeno tre puntate del mio Blog. Partiamo oggi dal Teatro Michetti,
una bella strutturina storica che ci ritroviamo in via D’Annunzio. Ricordo
quando c’andavo da piccola con papà, all’epoca era già stato adibito a cinema,
anni ’70, e forse è stato tra quelle poltroncine che ho visto il film di
Sandokan 2-Il Ritorno, o il film di Candy Candy. Ma il Michetti quello era: un
piccolo cinema-teatro, con le poltrone su un unico livello, quindi poco teatro,
più cinema, che almeno era visibile a tutti, anche a quelli in ultima fila.
Ricordo in quel cinema uno degli ultimi spettacoli cui ho assistito, un
concerto gospel per pochi intimi nel ’99 o nel 2000, e poi la chiusura. Non perché
l’edificio non fosse bello, o perché fosse piccolo, ma perché sopralluoghi dei
vigili del fuoco dimostrarono che quel cinema non era a norma: le poltroncine
non sono anti-incendio, ossia bastava una cicca di sigaretta per scatenare un
bel falò; men che meno lo sono i rivestimenti in legno, non trattati contro un
possibile fuoco; impianto elettrico anni ’30; servizi igienici che non
avrebbero consentito l’ingresso a un normodotato, impossibile per una persona
con una diversa abilità. Per non parlare della struttura in sé che mai ha
subito una qualche manutenzione. Risultato: cancelli e porte chiusi, nel
Michetti non si entra più. Poi però arriva il sindachissimo degli anni
2003-2008, che ha messo in piedi un affare peregrino e improbabile: ha
acquisito al patrimonio del Comune quel cinema a pezzi, lo ha comprato, con i
soldi pubblici, ben sapendo tutto quello che occorreva per rimetterlo in piedi.
Nel frattempo, ha però trovato il mecenatismo della Fondazione PescarAbruzzo e
ha cominciato i lavori di ristrutturazione dalla fine, cioè si è fatto
ristrutturare la facciata del Michetti, tornata a splendere mentre dentro
giravano topi e tarme. Però almeno il Michetti era bello da guardare…da fuori.
E quei lavori hanno cominciato ad alimentare le coscienze di chi è sempre
bravo, a sinistra, a riempirsi la bocca della parola kultura dando vita al
ritornello: il Michetti si deve aggiustare, si deve riaprire, è un gioiello
della città, non può restare abbandonato, deve diventare il Teatro di Pescara
(una struttura da 100 posti? Il Teatro della città con soli 100 posti?), dev’essere
il Laboratorio teatrale del territorio, senza il Michetti la kultura è morta. E
poco importa se nel frattempo si è aperto il teatro del Matta in via Gran
Sasso, con un progetto di tre lotti tutto da completare per dare alla città 3
sale-laboratorio. Poco importa se nel frattempo è stato riaperto il Circus con
i suoi 800 posti a sedere e la forma dell’anfiteatro, con i camerini annessi
nel piano interrato, peraltro struttura privata la cui manutenzione non
graverebbe sulle spalle della città. Poco importa se c’è il Massimo, con la sua
sala da 999 posti, al pianterreno, accessibili a tutti, la forma ad anfiteatro,
anch’essa, come il Circus, struttura della Fondazione PescarAbruzzo. Niente,
queste alternative non hanno fiaccato l’impuntatura di chi voleva riaperto il
Michetti con i suoi 100 posti a sedere. E tra le più accanite e convinte ecco
Paola Marchegiani, sino a giugno 2014 consigliere di opposizione-Pd, oggi una
dei tre, pardon, ufficialmente due assessori alla Cultura del Comune di
Pescara. Per cinque anni ha urlato nella sala consiliare il suo sdegno per la
mancata riapertura del Michetti da parte della giunta Albore Mascia, inveendo
contro tutti i poveri e malcapitati assessori alla Cultura, Elena Seller,
Giovanna Porcaro, per non parlare del povero sindaco Albore Mascia stesso. Come,
non riaprite il Michetti? Ci vogliono appena 200mila euro per rimetterlo in
piedi e aprirlo alla città e voi non trovate 200mila euro tra le pieghe di
bilancio? Lo fate apposta perché non volete riaprire quella struttura che
rappresenta la ‘creatura’ di Luciano, e vai con le interrogazioni, gli ordini
del giorno, le conferenze stampa, le commemorazioni, i manifesti funerari. Per
cinque anni uno show. E i poveri assessori alla cultura del sindaco Albore
Mascia che si incontravano con gli uffici tecnici i quali sin dal primo giorno
hanno chiarito: 200mila euro non consentono nemmeno di riaprire una finestra
del Michetti. Per dare una sistemata alla meno peggio ne servono molti di più,
e un’amministrazione che, a fronte della crisi economica crescente nelle
famiglie, si è ritrovata a spendere 12milioni di euro solo per il sociale ogni
anno, doveva centellinare ogni ulteriore somma scegliendo tra le priorità: era
più importante mettere in sicurezza le strade o riaprire il Michetti? La
risposta era logica per tutti, tranne che per la Marchegiani. Arrivano le
elezioni, vince il Pd, e uno si aspetta dopo due giorni di vedere riaperto,
come d’incanto, il Michetti. E invece no: non solo non è stato riaperto, ma
nessuno ha toccato quell’argomento tabù fino a oggi, quando in pompa magna,
sorrisi e occhi sgranati, hanno annunciato che papà Luciano ha erogato 973mila
603 euro al Comune di Pescara per iniziare la ristrutturazione del Michetti…come?
1milione di euro solo per cominciare la ristrutturazione del Michetti? Sì,
esattamente: con 1 milione di euro verranno fatti lavori solo per garantire la ‘staticità
e l’antisismicità’ del Teatro Michetti. Cioè, si interviene, e parzialmente,
sulla scatola per non rischiare di vederla sbriciolarsi a terra, che dopo aver
rifatto la facciata esterna a spese del privato non sarebbe proprio una bella
figura. Dopo aver speso 1milione di euro, si dovrà pregare e sperare che alla
Regione avanzino altre briciole per rifare gli impianti elettrici, antincendio,
idraulici, e l’allestimento interno del Teatro. Tradotto servirà almeno ancora
1milione e mezzo di euro per pensare di vedere finito il Teatro, forse! Ma
come, sono sobbalzata sulla sedia…ma…ma…secondo il consigliere-Pd Marchegiani
servivano solo 200mila euro per riaprire al pubblico il Michetti, e oggi per l’assessore-Pd
Marchegiani quella spesa è lievitata ad almeno 2milioni e mezzo di euro? E’
bastata una carica nominale per aggiungere 2milioni 300mila euro alla spesa? Ed
ecco che l’ennesima bugia è svelata: per cinque anni il Pd ha strumentalizzato
la vicenda del Teatro Michetti ben conoscendo la realtà, ovvero i veri costi di
quell’operazione. Peccato che oggi non un solo collega abbia sollevato la
vicenda, peccato che a Pescara non ci sia ‘memoria’. Ma non basta: oggi sono
arrivati i soldi ufficialmente, il 19 marzo scorso la giunta ha approvato il
progetto preliminare, ossia lo schizzo su carta da allegare all’impegno di
spesa. Ma questo vuol dire che concretamente non si è superato neanche il primo
ostacolo: oggi il vicesindaco ha ufficializzato che il dirigente del settore ‘attribuirà
l’incarico a professionisti esterni’ per la progettazione definitiva ed
esecutiva. Tradotto: di quei 973mila euro, almeno 30-40mila euro sarà speso per
il progettista esterno che dovrà redigere le planimetrie, quando il Comune ha
fior fiori di architetti e ingegneri nella propria struttura organizzativa in
grado di farlo. Ma, come ha precisato il vicesindaco, ‘avviso i giornalisti:
non c’è nessuno scandalo nel dare incarichi esterni’…e questo lo vedremo! Non
solo: sempre il vicesindaco pensa di sbalordire dicendo che entro un mese vuole
i progetti definitivi-esecutivi da portare in giunta, e questo tema del tempo
entrerà domani nel count down del mio profilo facebook; quindi si andrà in gara
d’appalto e, se Dio ce la manda buona, dopo l’estate partono i lavori…ma per
cosa? Per rifare il Michetti sotto il profilo statico e antisismico, ossia per
intervenire sulla scatola. Quindi il Michetti non verrà riaperto neanche nel
2016 o nel 2017! Poi…aspetta e spera, perché della seconda tranche di 1milione
e mezzo di euro non c’è né l’ombra né il presentimento, e il sospetto concreto
è che non sarà il sindaco Alessandrini a inaugurare il Teatro Michetti restituito
alla città. Ma una domanda si pone: è legittimo oggi, per una città in
predissesto, usare finanziamenti regionali, quindi sempre dei cittadini, 2milioni
e mezzo di euro previsti, per ristrutturare un teatro da 100 posti? Perché sia
chiaro: con quei 2milioni e mezzo di euro il Michetti conserverà sempre e solo
100 posti, non è che si allargherà o allungherà. Ed è legittimo quando il
sindaco Albore Mascia aveva incontrato la disponibilità della Fondazione PescarAbruzzo
che avrebbe usato i propri fondi, soldi privati, per la costruzione di un
Teatro nuovo da quasi 2mila posti, senza considerare i servizi annessi previsti,
sulle aree di risulta, e senza toccare un euro di soldi pubblici? Io dico la
mia: no, non è legittimo. Forse ha ragione il giovane consigliere Longhi, l’unico
ad aver avuto un moto di sincerità quando si è lasciato sfuggire “aprendo la
procedura di predissesto per la città abbiamo dato il ‘la’ a una nuova stagione”,
sì, una nuova stagione di buio e incongruenze. Ora tocca al Museo del Mare, alla
Città della Musica e agli incarichi esterni. Buona giornata!
venerdì 13 marzo 2015
L'amministrazione comunale Pd non illuda i cittadini di via D'Annunzio
La
politica non deve mai creare inutili attese, né tantomeno false illusioni. E
già qui mi aspetto chi allarghi le braccia e dica ‘eh sì, allora non saremmo in
Italia’. E ha ragione. Ma stamane non ho potuto evitare questa riflessione
dinanzi alla delibera approvata dal Consiglio comunale di Pescara con la quale
si è deciso di re-inviare all’esame dell’Ufficio per la Ricostruzione post-terremoto
de L’Aquila la pratica inerente il palazzo di via D’Annunzio 259-261,
dichiarato pericolante, inagibile, evacuato dalla precedente amministrazione,
per danni che i proprietari dell’edificio, 34 famiglie, imputano al terremoto
del 6 aprile 2009, nonostante il parere negativo già espresso dall’Ufficio
comunale preposto, il quale ha attribuito l’inagibilità dell’edificio a
problematiche ben più ‘vecchie’. Ecco, oggi il Consiglio comunale ha creato una
inutile attesa e una falsa illusione a 34 cittadini. I fatti: era il settembre
2009, dunque 5 mesi dopo il terribile terremoto de L’Aquila e appena tre mesi
dopo l’insediamento della giunta Albore Mascia-assessore alla Protezione civile
e al contenzioso Berardino Fiorilli. Negli uffici dell’amministrazione comunale
arriva la classica patata bollente, ossia la pratica inerente la situazione
statica di un fabbricato di 10 piani, situato nel bel mezzo del quartiere signorile
di Porta Nuova, in via Gabriele D’Annunzio. Le denunce fatte da alcuni dei
residenti del Palazzo, supportate dalle perizie di 4 ingegneri, affermano che
il Palazzo è sul punto di crollare, a causa di un cedimento che, i residenti,
fanno risalire alla scossa di terremoto della notte del 6 aprile. La priorità è
massima: il Capo Dipartimento, l’ingegner Amedeo D’Aurelio, costituisce subito
un gruppo di lavoro comunale che vede la presenza di geologi, architetti,
ingegneri, a partire dai professionisti dell’Ufficio Protezione civile, per
raccogliere le carte e capire cosa stia effettivamente accadendo, per
intervenire con tempestività ma pur sempre senza scatenare il panico. Viene
ovviamente informato l’assessore delegato, gli uffici cominciano a leggere i
documenti, cercando di ricostruire la storia di quel fabbricato enorme, e
spuntano i primi ‘ma’ circa l’inagibilità dell’edificio. Il ‘palazzone’ di via
D’Annunzio è stato costruito tra il 1962 e il 1963 e, primo punto, sembra che
inizialmente fossero previsti e autorizzati, in concessione edilizia, 7 piani.
Eppure oggi ne spuntano 10 di livelli, e allora da dove sono saltati fuori i
tre piani in eccesso? Niente, niente carte. Poi: da vecchie relazioni raccolte
e rintracciate, si accerta che il fabbricato ha subito presentato dei problemi
di staticità, con ‘un’inclinazione dello spigolo nord-est per il cedimento del
terreno di sedime su cui poggia’ come riportato in una relazione del 1988,
ossia risalente a 27 anni fa, quindi 21 anni prima del terremoto del 6 aprile
2009! I tecnici hanno continuato a studiare, a cercare, ma di fatto il
risultato è stato nullo: di quel fabbricato, così come degli edifici più ‘vecchi’
di Pescara, non esiste il Fascicolo storico, oggi divenuto obbligatorio, quindi
non è possibile stabilire con certezza nulla, né l’entità dei danni del 1963, nè
quelli eventualmente causati dal terremoto del 2009. Si sa però che già nel 1988,
dunque 21 anni prima del terremoto, si era evidenziato il cedimento dell’angolo
nord-est dell’intero edificio; e si sa che ai tempi della costruzione, erano
stati previsti e autorizzati 7 piani e non 10. Ovviamente il trascorrere del
tempo, le fasi di assestamento naturale del terreno, dopo 53 anni, hanno
inevitabilmente aggravato la situazione, rendendo ormai inabitabile quel
fabbricato e imponendo, nel 2013, l’ordinanza di sgombero dell’edificio. Ma, ed
è qui che subentra il giudizio tecnico su cui la politica non deve, o meglio,
non dovrebbe mai interferire, il gruppo di lavoro costituito in Comune non
avalla il danno post-terremoto, o meglio: quella relazione del 1988 impedisce
ai tecnici di attribuire la causa dell’inagibilità del palazzone al terremoto
del 6 aprile 2009. E ovviamente quel parere negativo ha rappresentato una
doccia gelata per 34 famiglie costrette a lasciare la propria casa, alcune
delle quali ancora impelagate con il pagamento del mutuo contratto per comprarla,
perché nel frattempo molti di quegli appartamenti, negli anni, hanno anche
cambiato molti proprietari e forse la continua compra-vendita di alloggi tutto
sommato situati in un bel palazzo, signorile, in una bella strada della città, avrebbe
dovuto suggerire una maggiore prudenza ai sempre nuovi acquirenti. Ma tant’è!
Quel parere è stato una doccia gelata perché quei residenti-proprietari
speravano che i tecnici confermassero la causa post-terremoto e di poter quindi
essere ammessi al contributo dell’Ufficio per la Ricostruzione e di poter
usufruire della copertura intera dei costi di demolizione dell’edificio e di
una copertura parziale per la ricostruzione delle loro case. Aspettativa più
che legittima in persone normali, che si vedono tolto il tetto da sopra la
testa perché quel tetto rischia di crollargli sulla stessa testa. Ma la
politica, quella onesta, non può avallare legittime, ma inutili, aspettative.
All’epoca gli Uffici del Comune inviarono a L’Aquila la pratica, ma
inevitabilmente, per onestà, non poterono certificare che il cedimento del
palazzo era stato causato dal terremoto, e piuttosto, sempre per onestà,
allegarono tutte le carte rintracciate. E ovviamente, sino a oggi, i residenti
del Palazzo non sono stati ammessi ai contributi dell’Ufficio per la
Ricostruzione. Una pillola amara che ovviamente i residenti non hanno mai
mandato giù, attribuendo la colpa alla politica. In realtà la politica, in
quell’occasione, ha fatto esattamente il proprio lavoro: ha tutelato la
sicurezza e la salute dei cittadini residenti nel palazzo a rischio crollo; ha
aiutato, chi non aveva mezzi, a trovare una nuova sistemazione attingendo,
ovviamente, agli alloggi popolari disponibili; e soprattutto, la politica non
ha interferito con il lavoro della macchina tecnica, riconoscendone la libertà
di azione e la legittimità di giudizio obiettivo, senza strizzamenti d’occhio né
tirature di giacchette. Ma questo, ovviamente, non è piaciuto. Oggi però la
novità: il Consiglio comunale, su delibera proposta dal vicesindaco, ha
nuovamente deciso di rinviare il fascicolo del Palazzo di via D’Annunzio all’esame
dell’Ufficio della Ricostruzione, con tutti i documenti allegati, decisione
ovviamente votata all’unanimità, ed è normale, perché qualcuno avrebbe dovuto
dare parere negativo e addossarsene, nuovamente, la responsabilità agli occhi
di cittadini che votano. Ma, mi chiedo io, per fare cosa? Sperare in una rivisitazione
della pratica e quindi in un riconoscimento circa l’origine dei danni? E perché
oggi la valutazione dovrebbe essere diversa da quella di due anni fa, se le
carte sono sempre le stesse? Ecco oggi, a mio giudizio, si sono create le basi
per dare ‘false aspettative’ a 34 famiglie che giustamente vivono un dramma,
famiglie che però non vanno illuse, nonostante il dramma, e piuttosto vanno
aiutate ad andare avanti, a farsi una ragione di quanto accaduto, e cercare di
superare il momento. Per tutto c’è poi il mio ricordo personale del Palazzone
di via D’Annunzio 259-261: era il 1998, una mia amica-studentessa universitaria
di Lingue, originaria del teramano, fuori sede, prende in affitto una stanza,
con altre colleghe, proprio nell’edificio, terzo piano. Ricordo la sensazione
quando entrai nell’ascensore per raggiungere il suo appartamento, come se ci
librassimo nel vuoto; peggio ancora quando siamo entrati nella casa e la forza
di gravità, penso, ci ha spinti verso l’angolo nord-est del palazzo. Che quell’edificio
fosse letteralmente appeso da un lato era evidente a tutti: bastava mettere a
terra un bicchiere con dell’acqua e subito si capiva che il liquido andava in
sospensione sul lato della pendenza. La mia amica ha cambiato casa dopo
quindici giorni. Buona giornata!
lunedì 9 marzo 2015
E Tapiro fu per il sindaco Alessandrini
E
alla fine Tapiro fu! E non poteva essere altrimenti, anzi il minimo. Stamane il
capogruppo di Forza Italia alla Regione Abruzzo Lorenzo Sospiri e i consiglieri
comunali di Forza Italia Antonelli, D’Incecco e Rapposelli, hanno consegnato in
pompa magna un bel Tapiro al sindaco Alessandrini quale rimprovero
istituzionale per la vicenda del Ponte Nuovo, ovvero per essersi appropriato
del merito dell’apertura di un cantiere, ufficialmente partito, ahilui, il 4
aprile 2014; un rimprovero istituzionale per non aver minimamente riconosciuto,
né ricordato, il merito di chi ha lavorato per rendere fattibile e realizzabile
quel ponte; per quella amnesia istituzionale che, nelle ultime settimane, gli
ha fatto cancellare 5 anni di buon governo dei fatti del centro-destra, tanto
che se ne va, vagando a zonzo, per la città a tagliare nastri di impianti
sportivi e strutture già terminati e inaugurati un anno fa, sempre dalla giunta
Albore Mascia, senza avere spesso la più pallida idea di quale immane lavoro
abbia determinato quelle opere. E che non lo sappia lo si vede anche dai suoi
interventi pubblici: me lo si consenta, scarni, vuoti di contenuti,
disinformati, più adatti a una ‘signorina buonasera’ che a un sindaco che deve
dimostrare sempre di avere il polso della città che governa, seppur
pro-tempore. Quella di sabato scorso, è inutile a dirsi, è stata una brutta
figura istituzionale per il sindaco di Pescara, per diverse ragioni: la prima,
tra lui e il Presidente D’Alfonso-factotum, tutt’e due piazzati davanti al cantiere,
non s’è capito chi era effettivamente il sindaco. In molti lo hanno percepito
solo perché ad Alessandrini è stata lasciata la fascia tricolore, ma stretto,
come s’è ritrovato, tra l’ingombrante figura di D’Alfonso e la doppia figura
del vicesindaco onnipresente, tuttologo e tuttofare, beh! Era dura attribuire a
lui, ad Alessandrini appunto, la carica di sindaco della città. E poi la
smemoratezza istituzionale: quella è imperdonabile. Come non invitare chi
quell’opera l’ha pensata a fine anni ’90 e inizi 2000, ossia l’ex assessore
alla mobilità e poi consigliere comunale Armando Foschi, e l’ex assessore
all’urbanistica Lucio Candeloro. Come non invitare chi quell’opera l’ha ripresa
con coraggio e portata avanti, sfidando anche la sorte, ossia il sindaco Albore
Mascia. Come non invitare chi quell’opera l’ha salvata materialmente, trovando
i fondi necessari per consentire la realizzazione sua e del potenziamento degli
argini del fiume, promuovendo un accordo di programma tra Regione Abruzzo e
Ministero dell’Ambiente, ossia il consigliere regionale Lorenzo Sospiri. Come
non invitare quel professionista che ha apposto sempre la sua firma su atti,
documenti, gare d’appalto, delibere e determine, ossia l’ex dirigente ai Lavori
pubblici e Mobilità Fabrizio Trisi, un architetto di tutto rispetto, vittima
dello spoil system, che meglio di chiunque altro conosce ogni dettaglio di quel
progetto. Ecco, ignorare chi c’era prima di lui e che, sinora, ha dimostrato di
aver lavorato meglio di lui, obiettivamente, è stata una brutta figura
istituzionale per un sindaco che, a nove mesi dalle elezioni, comincia a
dimostrare di temere i ‘fantasmi’ del passato e teme anche i paragoni, che sono
inevitabili. Ma, ignorare o far finta di ignorare, non cancella la storia, che
resta ed è facilmente rintracciabile, checché ne dica il vicesindaco che tenta
in ogni modo di mutarla a suo vantaggio, ostinandosi ad attribuire i meriti del
Ponte Nuovo a una delibera del 2008 del sindaco D’Alfonso. Già, un anno nefasto
il 2008 che, al posto suo, eviterei di ricordare a ogni occasione, ma tant’è! E
la brutta figura al sindaco Alessandrini deriva anche da una circostanza non
secondaria: anche il sindaco Albore Mascia si trovò a inaugurare, lui veramente
per la prima volta in assoluto, un ponte, il famoso Ponte del Mare, creatura
dalfonsiana sino al midollo. Lo sapeva il sindaco, lo sapevo io che ero il suo
addetto stampa, lo sapeva l’intera maggioranza, e la decisione fu ovvia e
scontata: il sindaco Albore Mascia invitò personalmente il suo predecessore
D’Alfonso a presenziare, con lui, al taglio del nastro di quel Ponte, fissato
per l’8 dicembre 2009. D’Alfonso non ha mai risposto a quell’invito,
lasciandosi nel vago anche a fronte di una telefonata personale e cortesemente
istituzionale di Albore Mascia. ‘Ma vedrò, vedremo, chissà’. Tanto che alla
fine si lasciò una sedia vuota, in prima fila, nell’area dell’evento, allestita
alla Madonnina, accanto alla sedia del sindaco, fosse mai ci avesse ripensato.
Ecco, quella si chiamava buona educazione e cortesia istituzionale. Alla quale,
come si ricorda, seguì una grande ‘scortesia’ istituzionale: D’Alfonso disertò
la cerimonia ufficiale alla Madonnina, da dove sarebbero dovuti partire il
taglio del nastro e la prima passeggiata
ufficiale e inaugurale, e con il solito coup de theatre, con il suo seguito di
discepoli e adepti, si presentò all’ingresso del ponte del mare-riviera sud,
sotto l’ex Cofa, dove, facendosi spostare le transenne, 5 minuti prima che il
corteo partisse dalla riviera nord, si fece la sua cerimonia di inaugurazione
personale, con la sua ‘gente’. Me la ricordo quella sera: mi ricordo l’allarme
dei ragazzi della Protezione civile colti di sorpresa e spaventati dalla massa
di gente che, una parte provenendo da nord, l’altra da sud, si sarebbero
incontrati pericolosamente al centro del ponte, in maniera inaspettata anche
per i collaudatori della struttura. Ricordo la corsa in cima al ponte del
vicesindaco-assessore alla Protezione civile Berardino Fiorilli per cercare di
gestire la situazione che a quel punto aveva trasformato la festa in ‘emergenza’ per la sfida politica lanciata da
un uomo, che, forse, in qualche modo, si era sentito usurpato di non si sa
cosa. Ricordo che solo l’intervento della Digos evitò il peggio, dirottando una
parte della folla sulla pista ciclabile e l’altra su quella pedonale.
L’incontro al centro del ponte, eclatante, ci fu, per la felicità di cronisti e
fotografi, ma avvenne solo tra il sindaco Albore Mascia e D’Alfonso che si era
preso la sua rivincita personale, dopo aver snobbato l’invito istituzionale.
Ecco, con molta più classe, sobrietà, rispetto ed eleganza, sabato scorso
nessun esponente del centro-destra si è presentato per ‘disturbare’ la
manifestazione del sindaco Alessandrini, pur consapevoli dell’inopportunità di
una ‘posa della prima pietra’, che in realtà era una ‘seconda pietra’, visto
che il cantiere è aperto da un anno ed è stato evidente a tutti i pescaresi
che, da 11 mesi, si ritrovano a fare i conti con disagi, chiusure temporanee e
divieti parziali del traffico. Ma il minimo era oggi la consegna di un Tapiro,
per celebrare le manifestazioni farlocche che stanno ormai quotidianamente
caratterizzando l’amministrazione Alessandrini. Io c’ero stamane: il sindaco
Alessandrini ha incassato, suo malgrado, facendo buon viso a cattivo gioco, e
non poteva essere altrimenti. Ma l’imbarazzo, da parte sua, era evidente,
scontato, inevitabile e opportuno. Un sindaco non deve mai perdere di vista la
propria educazione istituzionale, ricordando che la città gli è stata affidata
temporaneamente, ma non ne diventa mai proprietario. Buona giornata!
mercoledì 4 marzo 2015
La storia non si cancella, neanche in politica
‘La
riconoscenza, nannò, non è di sto’ mondo’. Me lo ripeteva mia nonna quasi ogni
giorno, ogni volta che tornando da scuola raccontavo di un’ingiustizia che
ritenevo di aver subito, dell’ingratitudine dimostratami da un’amica, o,
invecchiando, anche da un collega di lavoro. La riconoscenza non è di questo
mondo nella vita, figuriamoci in politica. Ma, in politica c’è sempre un ‘ma’,
quella mancata riconoscenza può trasformarmi in un prurito fastidioso. E,
gratta gratta, la giunta Alessandrini rischia di procurarsi la classica ferita.
E’ accaduto qualche settimana fa, quando all’improvviso un assessore ha
presentato il ‘Mercato ittico 2.0’, ossia le innovazioni tecnologiche e
informatiche introdotte nel mercato ittico all’ingrosso di Pescara. Opera
ottenuta grazie ai finanziamenti europei che gli assessori di centro-destra
Vincenzo Serraiocco e Antonio D’Intino hanno saputo intercettare, ottenere e
utilizzare. Passa un anno e, l’attuale assessore delegato ripresenta lo stesso
intervento, con gli stessi dettagli, e pure il titolo che il giorno dopo esce
sui giornali è inevitabilmente identico: ‘Il mercato ittico di Pescara diventa
2.0’! Colpa, va detto, anche del Direttore del Mercato, quello nominato dal
sindaco Albore Mascia e confermato dall’attuale sindaco Alessandrini che non ha
avuto semplicemente il coraggio di ‘dare a Cesare quel che era di Cesare’, ma
si sa, la pagnotta a casa bisogna pur riportarla. Caso isolato? Manco per
niente. Passa qualche settimana e il sindaco Alessandrini ne rifila altre due
di un campionario destinato a diventare sempre più vasto: di mattina, lunedì 2
marzo, annuncia il progetto esecutivo di realizzazione del Ponte Nuovo,
dimenticando di dire, in un’ora di conferenza stampa, un piccolo dettaglio:
quel Ponte è stato concepito, pensato, messo su carta, finanziato, salvato,
recuperato, progettato e materialmente avviato dalla giunta Albore Mascia,
grazie al consigliere regionale Lorenzo Sospiri. Perché grazie a Sospiri? Semplice:
il primo progetto del Ponte Nuovo risale a fine anni ’90, inizi 2000, quando
Armando Foschi, all’epoca assessore alla Mobilità nella giunta Pace, inserì
quell’opera, tanto ambiziosa, nel Piano Urbano della Mobilità, al fine di
dotare Pescara di un nuovo asse di attraversamento e scavalcamento del fiume
verso ovest, in quella zona, all’epoca periferia, in cui si stava progettando
la nascita di nuovi servizi. Il sindaco D’Alfonso, nel 2008, quindi con un
ritardo di 8 anni, riprese il progetto confermando la spesa iniziale di
9milioni di euro che però, chiunque lo avrebbe capito, dopo 8 anni, con il rialzo
anche solo dei prezzi in edilizia, erano già divenuti insufficienti. Nel 2009
arriva la giunta Albore Mascia, si riprende in mano il progetto, ma subito i
tecnici fanno notare l’assenza di fondi: quei 9 milioni di euro dovevano
diventare 13milioni 100mila euro se realmente si voleva costruire il Ponte. E
qui entra in gioco il ruolo di consigliere regionale di maggioranza di Lorenzo
Sospiri che intercetta e riesce a far dirottare sull’opera i fondi Pisu, in
parte destinati anche alla realizzazione dei nuovi svincoli dell’asse
attrezzato sul Ponte Capacchietti, altra opera pensata, voluta e marchiata a
fuoco dal centro-destra. Ma non basta: all’improvviso, quando tutto sembrava
pronto per la gara d’appalto, spunta fuori una carta che il Genio Civile aveva
già inviato al sindaco D’Alfonso, ma era inspiegabilmente rimasta chiusa e
custodita in qualche cassetto. Il ponte abbozzato dal centro-sinistra era
troppo basso, e soprattutto, se si voleva fare il Ponte, prescrizione
obbligatoria, bisognava preliminarmente potenziare e mettere in sicurezza gli
argini del fiume, contro il rischio di una piena bicentenaria del fiume Pescara
(che poi si è verificata a fine 2013). E per fare tale opera ulteriore
occorrevano altri 3milioni 600mila euro, mai previsti prima, mai pensati, né cercati.
Un ostacolo che rendeva non cantierabile il Ponte e che avrebbe fermato anche
il più ostinato degli amministratori. E invece qui rientra in gioco il
consigliere Sospiri che, tramite un Accordo di programma tra Regione Abruzzo e
Ministero dell’Ambiente, trova anche quei fondi e permette di redigere il
progetto e di far partire quel cantiere, prima di quello del Ponte Nuovo,
esattamente come prescritto dal Genio Civile. Il 4 aprile 2014 è stato
formalmente aperto il cantiere del Ponte Nuovo con la posa della prima pietra
da parte del sindaco Albore Mascia perché quel giorno sono cominciati gli scavi
e i sondaggi sul terreno, per individuare i punti dove sorgeranno i piloni del
ponte; è cominciata la bonifica e la preparazione del terreno; ed è cominciata
la realizzazione dei sottoservizi, partendo dallo spostamento della linea del
gas che passava lungo il tracciato del ponte. Contemporaneamente la ditta che
si è aggiudicata l’appalto, che con le proprie squadre ha iniziato a lavorare
un anno fa, ha redatto il progetto esecutivo che però avrebbe dovuto
riconsegnare al Comune entro 90 giorni, ossia entro il 4 luglio 2014, e invece
quel progetto è stato riconsegnato solo il 26 febbraio 2015, ossia con un
mostruoso ritardo di 7 mesi. Un altro piccolo dettaglio sfuggito al sindaco
Alessandrini e che avrebbe invece dovuto togliergli la baldanza dell’appropriarsi
del merito del lavoro altrui. Piuttosto dovrebbe cominciare a sorvegliare i
cantieri: se per presentare un progetto esecutivo si marcia con un ritardo di
sette mesi, il ponte sarà pronto tra sette anni e non tra 14 mesi! Questa è
storia, una storia documentata da atti, delibere, documenti sottoscritti,
relazioni, carta che canta mille volte di più dei ‘villan che parlano’, una
storia che non si cancella, malgrado i tentativi del sindaco Alessandrini. Ma
come se non bastasse, lunedì pomeriggio scorso il sindaco ha inanellato la
seconda bella figura amministrativa della giornata, reinaugurando il Campo
sportivo Donati, in via Imele, un impianto riqualificato dal sindaco Albore
Mascia-assessore Nicola Ricotta, dal marzo al maggio 2014, con un investimento
di 550mila euro, con la riconsegna e riapertura ufficiale alla città il 25
maggio 2014, come riporta la targa bella in mostra all’ingresso del prato in
erba con una frase di Pietro Mennea. Lo ricordo quel giorno: la musica, i
bambini, e soprattutto le società sportive felici perché uno straordinario
campo in erba sintetica aveva finalmente sostituito il campo in terra battuta che
aveva visto mille e mille ginocchia sbucciate. E finalmente quel campo aveva un
vero impianto di illuminazione, una vera recinzione di protezione, nuovi
spogliatoi, servizi e magazzini. Fino a maggio 2014 tutto questo non c’era; dal
25 maggio tutto questo è realtà grazie a una giunta di centro-destra che ha
investito e fatto opere concrete. Peccato che oggi il sindaco Alessandrini, con
un pessimo stile istituzionale, perso il suo aplomb, pensa invano di poter
cancellare le tracce di chi lo ha preceduto. Dice il consigliere regionale
Lorenzo Sospiri che ‘In Politica non c’è nulla di peggio dal non riconoscere le
buone eredità lasciate da chi ci ha preceduto’. Buona giornata!
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