mercoledì 10 giugno 2015

A Pescara documenti e autorizzazioni non servono più


Sarà l’aria di primavera inoltrata, saranno le ristrettezze della Spending Review, sarà la voglia di fareunpocomecavolocipare, ma al Comune di Pescara oggi c’è una certezza: i documenti, quelli istituzionali, quelli dettati da quella noia burocratica che si chiama ‘legge’, non servono più. Non occorre più aspettare almeno la Scia per abbattere l’ex Cofa, via, una ruspa e via, non serve l’autorizzazione, la licenza, il permesso. Non serve per prorogare i tempi di un ripascimento che doveva finire il 31 maggio, forse finisce oggi, ma tanto che fa che la stagione balneare è già iniziata. E non serve neanche per dire ai bagnanti se il mare in cui si stanno facendo il bagno è pulito o no. La scoperta innovativa, frutto evidentemente di quarant’anni di ricerca dei migliori specializzandi laureati ad Harvard od Oxford, l’ha firmata il sindaco di Pescara Alessandrini che ha applicato alla lettera il decreto ‘tagliacarta’ del fu Governo Monti. Oddio, forse Monti intendeva dire alle pubbliche amministrazioni di ‘evitare di stampare documenti digitali e di risparmiare sulle fotocopie’, ma l’interpretazione del sindaco Alessandrini è stata letterale, cioè non consumiamo più carta perché non produciamo più i documenti. Niente più autorizzazioni, né licenze, né cartelli, né ordinanze, e che stavi giorni e giorni a firmare, chebarbachenoia chenoiachebarba. Aveva cominciato settimane fa il Presidente D’Alfonso che, da sempre allergico, restio, nei confronti della burocrazia, ha sovrapresieduto l’abbattimento dell’ex Cofa con un parere negativo dell’ufficio tecnico comunale, un povero geometra nominato come Rup, un parere che, in teoria, doveva essere superato in tempo reale da quello positivo di un presunto dirigente (come poi non si sa, visto che la legge di riferimento dovrebbe essere identica), ma comunque poco importa perché quel parere positivo non l’abbiamo mai visto. Ma tanto a D’Alfonso che gliene importa, mica è lui che ha firmato gli atti o l’affidamento dei lavori di abbattimento dell’ex Cofa, no, lui si è limitato a guardare e a godersi lo spettacolo dell’abbattimento, gli atti li ha firmati un dirigente regionale, e se dovesse succedere qualcosa, che c’entra il presidente, mica si pretenderà che, oltre a dover governare una regione intera, si vada anche a firmare atti burocratico-amministrativi che la legge delega ai dirigenti (la famosa Bassanini) che, nel bene e nel male, se ne assumono la piena responsabilità? E quell’esempio tanto autorevole non poteva certo passare inosservato: se n’è accorto il sindaco di Pescara e anche la Direzione Marittima che subito hanno visto dove, come e quando si  poteva ‘copiare’. Primo il ripascimento, ossia il prelievo della sabbia dall’area della Madonnina, riviera nord, per essere portata sulla riviera sud, nelle aree del litorale danneggiate dall’erosione invernale e che hanno bisogno di ossigeno-sabbia per poter ricominciare la stagione. Ebbene, tutto regolare se non fosse che le opere sono cominciate con l’esplosione del caldo e con la gente che ha cominciato ad andare al mare. Tutto bene se non fosse che, secondo l’ordinanza del Comune e della Capitaneria di porto, le operazioni di ripascimento dovevano comunque concludersi entro il 31 maggio scorso, proprio per consentire ai bagnanti di andare al mare in tranquillità, senza dover temere i sempre possibili effetti di quella ruspa, che movimentava sabbia anche in acqua, sulla qualità del mare. Tutto bene se non fosse che il 31 maggio il ripascimento non è finito com’era stato previsto e impartito nell’ordinanza della Capitaneria. Tutto bene se non fosse che il primo giugno, sotto il sole a picco, ho personalmente fotografato dal ponte del mare la ruspa che, in assenza di ordinanza di proroga, tranquillamente prelevava la sabbia dall’acqua nel tratto di spiaggia antistante la Madonnina, sabbia scura scura che veniva stoccata sull’altra sabbia già asciutta presente sempre alla Madonnina, mentre tanta gente prendeva, contemporaneamente, il sole sdraiata a due passi dalla ruspa, cioè dentro un’area di cantiere, e sempre a due passi dalla ruspa si faceva pure il bagno. Tutto bene se non fosse che il 2, 3 e 4 giugno qualcuno ha consentito che le operazioni di ripascimento proseguissero senza il supporto di un’ordinanza di proroga. Tutto bene se non fosse che quella ordinanza di proroga è stata pubblicata sugli albi pretori istituzionali solo ieri, 9 giugno, per scoprire che porta la data del 4 giugno scorso, ma, non si sa perché, non è stata pubblicata nei tempi giusti. Tutto bene se non fosse che comunque il primo, il 2, e il 3 giugno comunque il ripascimento è stato fatto, ma senza uno straccio di documento di supporto. Tutto bene se non fosse che, come da seconda ordinanza, il ripascimento deve concludersi oggi, ma nessuno sa se hanno finito, perché sul cantiere non c’è alcuno che risponda a una domanda e non ci sono indicazioni sui cartelli, fatto sta che a oggi ci sono ancora le transenne alte da cantiere, comunque penetrate da chi vuole raggiungere la spiaggia-cantiere per prendere il sole. Tutto bene se non fosse che non c’è una sola autorità che faccia notare al sindaco Alessandrini che un cantiere dev’essere ‘trasparente’, ossia tutti devono poter essere messi al corrente di cosa stia accadendo, che un cantiere va fatto rispettare, ossia dev’essere accessibile solo agli addetti ai lavori, e deve rispettare i tempi di appalto. Tutto bene se non fosse che siamo al 10 giugno e la spiaggia continui a essere un cantiere, con la movimentazione meccanica di sabbia e acqua di mare, in cui quello che c’è sotto viene a galla, e non c’è una Associazione ambientalista, dico una sola associazione, tipo il Wwf, che per cinque anni ha tormentato chi governava con la leggenda del Fratino che si doveva riprodurre proprio durante il periodo del ripascimento (forse, oggi, sono diventati tutti sterili i Fratini), che oggi esprima un lamento, un sentimento di malinconia per quella spiaggia-cantiere in piena estate, o sollevi il problema degli effetti del ripascimento sulla qualità delle acque. Tutto bene, se non fosse che a Pescara i documenti, le ordinanze, non servono più. Ma non servono più neanche i cartelli. Oggetto: inquinamento del mare. Il fatto: a oggi c’è una sola certezza, le analisi eseguite dall’Arta il 26 e il 29 maggio scorsi hanno certificato l’inquinamento batterico da feci ‘escherichiacoli’ del tratto di mare compreso tra la Madonnina-foce del fiume-molo nord e via Balilla, dove, di fatto, dovrebbe essere in vigore l’ordinanza di divieto di balneazione, contestuale all’installazione dei relativi cartelli, nel tratto di mare interessato, per comunicare ai bagnanti che lì non ci si può fare il bagno perché si rischia di contrarre qualcosa di poco piacevole. Ebbene: la certezza è che il 26 e il 29 maggio i bagnanti si sono fatti il bagno in mezzo a 2.005 escherichiacoli per ogni milligrammo di acqua, non l’ho detto io, ma l’ha scritto l’Arta e lo ha riportato il quotidiano Il Centro. Dopo la fuga della notizia, che, accipicchia, non doveva scappare, il Comune si è affrettato a dire ‘sì, è successo, ma ora andrà tutto bene’. L’Arta, addirittura, avrebbe eseguito prelievi suppletivi non previsti dalla legge, e pagati comunque con i soldi dei contribuenti, per dire che il problema era già passato, ma, peccato che quei secondi prelievi non hanno alcun valore ai fini della balneazione, perché l’Arta ha per legge delle date prestabilite a inizio anno in cui deve obbligatoriamente eseguire i campionamenti e per il mese di giugno gli unici prelievi che avranno valore di certificazione sono quelli che si faranno intorno al 20-21 giugno prossimo. Il che significa, per farla breve, che a oggi, seppure l’acqua del mare dal 29 maggio a oggi fosse diventata minerale, comunque vige il divieto di balneazione. Già vige, ma non lo vediamo, e non lo vediamo perché il sindaco Alessandrini avrebbe dovuto fare per legge un’ordinanza, pure preannunciata sui quotidiani, per ufficializzare il tratto di mare vietato alla balneazione, sulla base dei prelievi negativi di maggio, ma non l’ha fatta, e dopo l’ordinanza avrebbe dovuto per legge far installare i cartelli di divieto di balneazione, che a oggi non sono stati installati. E per legge la Capitaneria di porto, a conoscenza della situazione, avrebbe dovuto controllare che quei cartelli fossero stati regolarmente installati, ma…il resto lo sapete già. Ma sono sicura, anche in questo caso l’ordinanza non è stata firmata perché i documenti, al Comune di Pescara, non servono più, meglio risparmiare per quando tornerà a governare il centro-destra, perché in quel momento i documenti torneranno sicuramente a essere ‘necessari per legge’. Buona giornata!.
Ps: l’ultima volta che ho scritto dei divieti di balneazione mi sono ritrovata con il famoso balneatore che mi aspettava sotto il Comune di Pescara per rivolgermi una chiara e non velata minaccia, che racconterò in un altro blog, ossia ‘Se mi danneggi con i tuoi articoli, io te la faccio pagare’. Stiamo a vedere stavolta che succede.

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