E intanto il sindaco Alessandrini se la ride.
Oggi alle 13.25, minuto più minuto meno, ha inforcato la sua biciclettona e,
con la faccia soddisfatta della sua giornata, se n’è andato pedalando,
suppongo, a casa, per il pranzo. L’ho incontrato mentre anch’io andavo in pausa
pranzo, e non ho potuto fare a meno, incrociando lo sguardo, di vedere la sua
espressione soddisfatta e beffarda, col ghigno di chi sa di averla fatta
franca, e ne è piacevolmente soddisfatto, tanto da sbatterti in faccia la sua
risata. Eppure, tra me e me, un solo pensiero: ma che c’avrai da ridere? Oggi è
stata forse una delle giornate peggiori per la città e per la sua
amministrazione, c’era ben poco da ridere. Da settimane si parla dell’inquinamento
del mare, avremmo cominciato ad aprile, maggio forse, ossia dalla rottura della
famosa condotta dei liquami di via Raiale, miserevolmente crollata con il
cedimento dell’asse attrezzato, sversando la sua marea nera, costituita da
feci, direttamente nel fiume, ovvero nel mare aperto. Da quel giorno sulla
vicenda balneazione è sceso un silenzio mortale e irreale, e quando ho osato
parlarne, ormai si sa, sono arrivate le minacce di un balneatore. E l’intera
categoria, in effetti, ha ottenuto il risultato, ossia il silenzio, non mio,
ma, peggio, delle Istituzioni: Comune, Arta, Asl, persino la Capitaneria di
porto, e qui non nascondo la mia sorpresa verso il comportamento del comandante
Moretti, che avevo conosciuto con ben altro piglio e rigore ai tempi del
comandante Ugo D’Atri. Non uno di loro che avesse sentito la necessità o, lo
scrupolo, ha scritto bene nei giorni scorsi l’avvocato Berardino Fiorilli
promotore dell’Associazione ‘Pescara – Mi piace’, ecco lo scrupolo, il rimorso
di coscienza, di giustificare alla città quanto stava accadendo. Né tantomeno
di far installare i cartelli di divieto di balneazione quando l’acqua del mare
di fatto non era balneabile. E intanto l’estate scorreva lenta, calda,
caldissima, la più calda dal 2003, con centinaia di bagnanti immersi fino al
collo nell’acqua del nostro litorale in cerca di refrigerio, e i bambini a
impiastricciarsi di acqua e sabbia a riva, per poi ritrovarsi con una bella
diarrea di notte, nel proprio lettino. Ma si sa, è estate, un gelato di troppo,
un bicchiere d’acqua troppo freddo, magari il cocomero, può succedere, e può
succedere pure che il bambino si ritrovi in un lettino del reparto di pediatria
dell’ospedale civile per quello che sembra un bel virus e con la flebo al
braccio per giorni per fermare i conati di vomito e la disidratazione. Ma
capita, può capitare, direbbe Antonio Albanese. E allora capita pure che il
diavolo ci mette lo zampino e quella condotta di via Raiale si rompe di nuovo. No,
non quella di aprile, mai ripristinata perché la competenza è dell’Aca, ma
quella vecchia, forse risalente agli anni ’50, e in disuso ormai da quindici
anni, proprio perché troppo piccola, insufficiente a contenere tutta l’odierna
portata di liquami, e soprattutto perché piena di falle. Eh sì, perché in
assenza della condotta nuova, la giunta Alessandrini ha avuto la bella pensata
di rimettere in funzione la linea preesistente, anche se vecchia, piena di
ruggine e di buchi. Quindi da quattro mesi tutti i liquami vengono convogliati
in quella vecchia tubatura. Che però non regge e cede: è accaduto la sera del
27 luglio scorso, quando i liquami, di nuovo, hanno cominciato a sversarsi
direttamente nel fiume, ossia nel mare. In una città civile, di un paese
civile, in un mondo civile, il protocollo avrebbe voluto che l’Aca comunicasse
subito il guasto al Comune; che l’Arta, l’Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente,
con l’attivissimo direttore Giovanni Damiani, ex Verdi, ex Asl, ex tuttoperlambiente,
effettuasse subito dei campionamenti per verificare come quella rottura avesse
inciso sulla qualità delle acque; che il Comune, in via precauzionale,
bloccasse subito la balneazione, in attesa dei risultati delle analisi dell’Arta.
Se poi quelle analisi avessero dato esito positivo, certificando la presenza
delle feci nell’acqua, così come poi è avvenuto, in una città civile, il
sindaco, prima autorità garante della salute pubblica, avrebbe dovuto emettere
subito l’ordinanza di divieto permanente di balneazione, in attesa di ulteriori
esami di controllo, da effettuare per tre giorni di seguito, dando massima diffusione
al proprio provvedimento, per evitare che i cittadini galleggiassero con le
feci, installando anche i cartelli di divieto di balneazione, con dietro
attaccata l’ordinanza. Ecco, questo è quello che accade nelle città civili, di
paesi civili. Ma non accade a Pescara. A Pescara accade che la condotta
fognaria si rompe, accade che i liquami sversano in mare, accade tutto questo
per tre giorni di fila (dal lunedì notte sino a mercoledì sera, 30 luglio),
almeno da quello che è dato sapere, accade che l’incidente viene reso noto solo
giovedì mattina 31 luglio con uno scarno comunicato del vicesindaco in cui si
dice che vatuttobenemadamalamarchesa: c’era stata una rottura tre giorni prima,
ma è stata riparata! Come tre giorni prima? E ora me lo dici? Ma alla
cittadinanza lo dovevi dire quando c’è stata la rottura, e dovevi impedire che
la gente si immergesse inconsapevolmente in quel mare di liquami, per non usare
francesismi. E la cosa, secondo il vicesindaco, doveva finire lì, se non fosse
che l’avvocato Fiorilli ha deciso di non finirla lì, di chiedere spiegazioni di
quei tre giorni di sversamenti, perché tutti i bambini colpiti da
gastroenterite batterica o eritemi e finiti in ospedale potevano essere nostri
nipoti, i nostri figli, i nostri fratellini, i figli di cari amici. E da quel
momento comincia ad alzarsi il polverone, con tutto il tappeto lasciato sopra:
si scopre così che l’Arta ha fatto i campionamenti straordinari, che l’Arta ha
comunicato al Comune che le analisi non andavano bene, e che in Comune si è
bloccato l’iter dell’incidente. In Comune è scesa la cortina di silenzio e
omertà. In Comune qualcuno, non si sa chi, visto che l’unica autorità in
materia dovrebbe essere il sindaco, decide che, siccome siamo in piena stagione
balneare, è meglio che notizie tanto allarmanti non si diffondano, dai che vuoi
che sia, in fondo due liquamucci, un po’ di cacchina, per tre giorni in acqua,
e vabbè qualche bambino si sarà messo le mani in bocca, ma che vuoi che
succeda! E invece no, succede che un amministratore ha il dovere, datogli dalla
legge prim’ancora che dalla sua morale personale, di informare la popolazione
quando capitano simili incidenti. Succede che non si può salvare una stagione
turistica iniziata male nascondendo dati di una simile gravità, non dicendo che
a Pescara c’è stato un gravissimo episodio di inquinamento del mare e non lo ha
saputo nessuno perché chi era deputato a dirlo non lo ha detto. Succede che una
città non può essere amministrata con tanta arroganza da qualcuno che pensa che
aver vinto le elezioni significhi essere diventati i padroni della città. E
succede anche che un esponente politico, Armando Foschi, ex amministratore di
lungo corso, decide di presentare un esposto alla Procura della Repubblica, e
succede che ora la città guarda a via Lo Feudo, in quei Palazzi chiamati a
garantire il rispetto della legge e a tutelare i più deboli, ossia i cittadini.
Ma intanto il sindaco Alessandrini se la ride: inforca la sua biciclettona, e
se ne va zigzagando serenamente su via Firenze, contento e soddisfatto della
sua gloriosa giornata. Ordinanze non ne ha dovute firmare, i balneatori sono
tutti contenti, i cittadini sono ignari, e ti guarda attraverso gli occhiali da
sole con il ghigno di chi pensa di averla fatta franca. Appunto, pensa! Buona
giornata!
Alessandrini se la ride in bicicletta. I predecessori se la ridevano parimenti in auto di servizio con autista. Trovata la differenza!
RispondiEliminaVedi Ivano, stavolta hai personificato il 'lettore medio italiano', quello che si ferma ai titoli, e non guarda la sostanza. Allora te la riassumo: la sostanza dell'articolo era molto grave, parliamo di centinaia di persone che per tre giorni, e non solo, hanno fatto il bagno a Pescara in un mare di feci, e non metaforiche, ma reali, perché qualche persona di grande autorità, in Comune, ha deciso di non dire ai cittadini che si era rotta una condotta fognaria, che si erano sversati in mare fiumi di liquami, e che la costa, molto probabilmente, non era balneabile, come poi ha confermato l'Arta. Quel qualcuno non ha fatto le ordinanze come obbligo di legge e non ha affisso i cartelli di divieto di balneazione. Io non so chi sia stato quel soggetto autorevole che ha deciso tale strategia, in teoria solo il sindaco ha questo potere, ma sai com'è, nell'era Alessandrini tutto è possibile. E questa è la sostanza. La mia osservazione 'e il sindaco se la ride' era riferita a questo: con qualche coscienza un sindaco che ha comunque causato, direttamente o indirettamente, un tale disastro, va in giro spensierato, e ridendosela sotto i baffi, fregandosene di quello che gli accade intorno? Io, onestamente, non ci riuscirei, e penso che proprio tu, dotato di grande coscienza ambientalista, la stessa che ti fa essere anima della protesta per lasciare isola pedonale la tua amata strada parco, ecco, penso che anche tu non ci riusciresti. Poi, la difesa politica a prescindere e a tutti i costi di un partito e di un soggetto che lo rappresenta, lasciamola a chi fa politica e tu in famiglia hai già chi ne fa abbastanza. P.S.: i sindaci possono ridere, ma non quando combinano disastri. Altrimenti poi non critichiamo chi rideva a L'Aquila nella notte del terremoto!
RispondiEliminaPatricia, la mia era una battuta spiritosa, non compresa, nei confronti di una politica assente, da sempre, nella tutela della salute pubblica. Il giudizio sulla mia persona e sulla famiglia a me pare assai fuori luogo. Un caro saluto, Ivano
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